martedì 3 maggio 2005

heroes



questo è uno di quei giorni che non sono mai riuscito a raccontare con parole mie, perché mi sento tanto piccolo di fronte alla grandezza dei fatti per poterne parlare, e credo che la loro memoria, sia talmente forte da andare oltre ogni mia vana parola.

lascio a testimonianza di quel 4 maggio 1949 ciò che scrisse Giorgio Fattori, allora giornalista alla gazzetta dello sport, insiema alle bellissime parole del suo collega indro montanelli "non sono morti, sono solo andati in trasferta"

Torino, Arrivò un piccolo ragazzo in bicicletta, frenò dolcemente sull'asfalto vischioso di pioggia, sollevò il cappuccio grondante dell'impermeabile. Disse a una guardia: "Ho questi fiori e mi hanno detto di darli a loro." La pioggia si schiacciava silenziosa sull'asfalto, sul marciapiede di terra battuta, lavava a raffiche improvvise e nervose il cancello del cimitero. Di là c'era una finestra illuminata, una luce giallastra e insinuante che lustrava con attenzione le giberne lucide dei soldati e si allargava sulla strada. Il ragazzetto guardò un attimo in alto, verso la finestra, poi voltò gli occhi e ancora tese i fiori: "A loro, mi hanno detto di darli.". I soldati avevano il viso di pietra e non parlavano. Ogni tanto dal loro silenzio si alzava stancamente un meccanico "circolate" e la folla, con sollecitudine rispettosa, si faceva più da parte, nell'ansia di disturbare. C'era quella finestra accesa al di là del cancello ed era un taglio al cuore di chi stava a guardare. E quella luce giallastra che si impastava di pioggia, i visi opachi della gente e le giberne dei soldati di guardia. Il ragazzetto appoggiò i fiori al cancello con delicata cautela e il cellofane frusciò dolcemente. Poi risalì in bicicletta e si allontanò nel gran piovere: i fiori erano rimasti a pregare per lui e per i suoi amici più grandi; più tardi, quando la luce di quella finestra si sarebbe velata e affievolita nelle ombre pietose del raccoglimento, il ragazzo aveva capito che glieli avrebbero dati. Fu una notte che nessuno ebbe sonno, a Torino, e la gente si raggruppava paziente come in attesa di una favolosa notizia, gente intimidita al pensiero di ritrovare nella solitudine della propria casa il desolato stupore delle disgrazie. Insieme l' assurdo era più tollerabile , e insieme guardavano il cielo tetro a pioggia, si avviavano fino alla morgue, ascoltavano il giorno che veniva su a fatica a dire che tutto era finito. Perchè soltanto di giorno avrebbero saputo che erano morti, quando la luce di quella finestra non si sarebbe più dilatata sulla pelle lucida e nera della strada, e l'incantesimo piovigginoso delle lunghe ore di buio si sarebbe diradato. Per ora non c'era che la stupefazione atroce e smarrita del primo momento. Il dolore sarebbe venuto dopo, il dolore non ha mai fretta di venire. Nelle vie, la folla aspettava, e non sapeva bene cosa. Ogni tanto l'arrivo di qualcuno, il guizzar nevrastenico e breve di una notizia falsaria, e le folli notizie che fioriscono chissà come dai rottami della disgrazia, davano un trasalimento, un' emozione nuova. Quando molti videro Pozzo, gli furono attorno: il vecchio generale degli azzurri; erano venuti a prenderlo in automobile per condurlo all'ultima, più amara rassegna dei suoi ragazzi. Vittorio Pozzo parlava con voce chiara e staccata, soltanto nei suoi occhi brillava una fissa e misteriosa inquietudine: "Mi hanno detto di andare per tentare di riconoscerli, e come potrei non riconoscerli, i miei ragazzi che ho cresciuti uno per uno?". E pioveva. "Facciamo presto - diceva Pozzo - facciamo presto.". Di tutti coloro designati al riconoscimento era o pareva quello meno costernato all'idea dello strazio di un confronto dove la pietà e la commozione devono essere rigidamente compresse da una giusta burocrazia giuridica. La luce giallastra che si appoggiava lugubre al davanzale della finestra dell'obitorio e si aggrappava alle inferriate del cancello, curiosa e maligna di vedere, non aveva sbigottito gli echi netti e sonori della voce del vecchio generale. Ancora una volta con i suoi azzurri, come a Londra, a Parigi, a Praga, Pozzo entrò deciso ed eretto, non ebbe orrori od incertezze, un padre non ha mai paura di andare dai suoi figli nè di guardarli sul viso. Ad uno ad uno li avrebbe guardati, con attenzione lunga e amorosa, ecco Valentino, e Valerio, e Virgilio, hanno tutti un gran sonno e il vecchio Pozzo li chiama con voce lieve e sottile. Dieci e dieci volte nelle silenziose camerate alla vigilia delle grandi partite, li ha visitati così, in silenzio, ed ha toccato con le mani leggere le loro coperte, e poi è rimasto un poco a pensare e a sognare. Tutti insieme, anche adesso. China la vecchia testa su di loro e ad uno ad uno li chiama: Valentino, Valerio, Virgilio... Ma piano, perchè hanno una grande stanchezza e il sonno è la loro sterminata vacanza.

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